BIMILLENARIO DELLA NASCITA DI SENECA

Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Bimillenario
della nascita di Lucio Anneo Seneca
Sotto l'alto patronato del Presidente della Repubblica 

SENECA
A DUEMILA ANNI DALLA NASCITA 

Testi e immagini a cura di: Marco e Monica Cursi, Paolo d'Alessandro, Gemma Donati, Alessandra Peri, Giorgio Piras.

Coordinamento: Piergiorgio Parroni.

Ministero per i Beni Culturali e Ambientali

Ufficio Centrale per i Beni librari, le Istituzioni culturali, l'Editoria

Giunta esecutiva del Comitato:

Italo Lana (presidente), Giovanni Polara (vice presidente), Piergiorgio Parroni (segretario-tesoriere), Livia Borghetti, Paolo Fedeli, Gianvito Resta, Enrique Sardá Valls.

Segreteria c/o Università degli Studi di Roma La Sapienza - Dipartimento di Filologia Greca e Latina, 00185 Roma - p.le Aldo Moro, 5 - tel. 0649913579, fax 064451393

http://rmcisadu.let.uniroma1.it/seneca/seneca.html - e-mail seneca@rmcisadu.let.uniroma1.it

Seneca, una personalità poliedrica

Con il presente pieghevole il Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Bimillenario della nascita di Lucio Anneo Seneca, istituito con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 31 ottobre 1996, intende coinvolgere nel dibattito culturale intorno alla figura del grande cordovese i docenti e gli allievi delle scuole secondarie, fornendo spunti di approfondimento corredati di percorsi didattici interdisciplinari e informando sulle attività finora svolte e su quelle in programma.

Ulteriori notizie possono essere attinte attraverso il sito internet.

IL POLITICO

Ciò si richiede all’uomo, che giovi agli altri uomini:
se può a molti, altrimenti a pochi, altrimenti a quanti gli sono vicini, altrimenti a se stesso.

Hoc nempe ab homine exigitur, ut prosit hominibus: si fieri potest, multis; si minus, paucis; si minus, proximis; si minus, sibi (De otio III 5).

Il compito del saggio stoico è quello di rendersi utile agli altri nella misura concessagli dalle circostanze e dalle sue capacità: può dedicarsi alla riflessione filosofica oppure impegnarsi attivamente nella vita pubblica. Se si dedica alla politica, compito del sapiens è influire sul principe in modo che questi eserciti il controllo su di sé (si guardi il re dal furor è il monito delle tragedie; nel De ira Caligola incarna gli eccessi di un potere non controllato dalla ragione) ed eserciti il potere secondo la legge morale e la clemenza, che mette al riparo dall’odio e dalle congiure (De clementia e De beneficiis): la clemenza del principe illuminato crea un rapporto di mutua fiducia e utilità fra governante e governati.

Il sapiente farà anche ciò che non approva per raggiungere risultati più grandi.

Faciet sapiens etiam quae non probabit ut ad maiora transitum inveniat (fr. 79 Vottero).

Seneca non rinunciò ad esporsi in prima persona e non si tirò indietro di fronte ai compromessi che la partecipazione alla vita politica gli impose, ma più volte pagò il prezzo della fama e della ricchezza fino ad essere costretto al suicidio. Dopo aver rischiato la vita sotto Caligola, fu costretto all’esilio in Corsica da Claudio: per ottenerne il perdono lo adulò nella Consolatio ad Polybium, ma dopo la morte lo sbeffeggiò ferocemente nell’Apocolocyntosis. Fu precettore di Nerone e cercò di improntare il suo governo ai principi del rex iustus, teorizzando la figura del principe illuminato nel De clementia, ma presto l’indole autoritaria e spietata del giovane imperatore prese il sopravvento.

L'INTELLETTUALE COINVOLTO CON IL POTERE

Il rapporto di Seneca con il potere può essere paragonato, affiancato o contrapposto a quello di altri pensatori, artisti, intellettuali, filosofi antichi e moderni "coinvolti con il potere". All'interno dei programmi dell'ultimo anno di corso della scuola superiore si possono scegliere, tra le altre, le seguenti figure:

- Polibio e la repubblica romana di età scipionica (vd. Polibio, Historiae VI);

- Majakovskij e la rivoluzione d'ottobre;

- D'Annunzio e le vicende politiche italiane del primo Novecento;

- G. Gentile e il regime fascista;

- B. Croce dal governo Giolitti al governo Badoglio.

In particolare, sui rapporti tra Seneca e il potere politico, si possono leggere: I. Lana, L. Anneo Seneca e la posizione degli intellettuali romani di fronte al principato, Torino, Giappichelli, 1964; E. Gabba, Seneca e l'impero, in Storia di Roma, II 2, Torino, Einaudi, 1991; P. Grimal, Seneca, trad. it. di T. Capra, Milano, Garzanti, 1992; C. Letta, Seneca tra politica e potere: l'evoluzione del pensiero di Seneca sul principato nelle opere in prosa anteriori al De clementia, in Seneca nel bimillenario della nascita. Atti del Convegno nazionale (Chiavari, 19-20 aprile 1997), a cura di S. Aduano, Pisa, ETS, 1998, pp. 71 sgg.

IL FILOSOFO

La ricerca di Dio

Che cos’è Dio? La mente dell’universo.
Che cos’è Dio? Tutto ciò che vedi e tutto ciò che non vedi.

Quid est deus? Mens universi. Quid est deus? Quod vides totum et quod non vides totum

(Naturales quaestiones I praef. 13).

Tutto ciò che ci contiene è unico ed è Dio, siamo partecipi di lui e sue membra.

Totum hoc quo continemur et unum est et deus, et socii sumus eius et membra (Epistulae ad Lucilium 92, 30).

Dio è vicino a te, è con te, è dentro di te.

Prope est a te deus, tecum est, intus est (Epistulae ad Lucilium 41, 1).

Chiamalo natura, fato, fortuna:
sono tutti nomi del medesimo Dio che usa in tanti modi del suo potere.

Sic nunc naturam voca, fatum, fortunam: omnia eiusdem dei nomina sunt varie utentis sua potestate
(De beneficiis IV 8, 3).

Secondo la filosofia stoica Dio è dovunque e permea l’intero universo, si identifica con la ratio, il logos, il principo razionale del mondo; Dio è in tutti gli uomini virtuosi e li ispira nelle loro azioni; attraverso la ragione e l’istinto di socialità Dio ha reso l’uomo padrone del mondo. Il mondo è retto dalla provvidenza, ma anche sui buoni ricadono le avversità e il male è presente nel mondo; alla pressante domanda: "ma perché Dio è stato tanto ingiusto nella distribuzione del destino, tanto da assegnare agli uomini onesti la povertà, i malanni, i lutti prematuri?" (De providentia 5, 9), Seneca risponde che "il fuoco mette alla prova l’oro, la sventura gli uomini forti" (De providentia 5, 10).

Siamo nati sotto un dominio: la vera libertà è obbedire a Dio.

In regno nati sumus: deo parere libertas est (De vita beata 15, 7).

Non obbedisco a Dio, ma acconsento a lui;
lo seguo spontaneamente, non perché è necessario.

Non pareo deo sed adsentior; ex animo illum, non quia necesse est, sequor (Epistulae ad Lucilium 96, 2).

Il fato, la fortuna dominano l’uomo in maniera spietata e l’unica possibilità di realizzare la nostra libertà consiste nell’obbedire a tali leggi, a Dio.

Seneca concepisce la divinità come intelligenza dell'universo e individua nell'interiorità dell'uomo la via per raggiungere la conoscenza di Dio e del sommo bene. Egli prelude cosí al monito agostiniano "ritorna in te stesso: nell'interiorità dell'uomo abita la verità" (cf. Sen. Epistulae ad Lucilium 7, 8 rede in te ipsum quantum potes), che a sua volta ricorda la massima delfica (e socratica) "conosci te stesso". Coerentemente Seneca riconosce nel taedium – la condizione di scontentezza causata dall'insoddisfazione di sé – la principale radice del fallimento dell'uomo, e suggerisce un percorso di ripiegamento interiore, di fuga dalla folla e di esercizio dell'animo come unico rimedio al senso diffuso di alienazione. Sono questi concetti che ritornano molti secoli più tardi nel pensiero di Kirkegaard e nell'esistenzialismo.

Proposte di lettura: Seneca, Naturales quaestiones I 13-14, Epistulae ad Lucilium 31 e 41 per il cammino verso Dio; De tranquillitate animi (in particolare cap. 2, 6-15) ed Epistulae ad Lucilium 24, 25-26 per il concetto di taedium vitae; Epistulae ad Lucilium 7 e De vita beata 1-2 per il senso di alienazione; De brevitate vitae (in partic. cap. 3) per la necessità di vivere pienamente la propria vita. Agostino, Confessiones (in partic. lib. 10). Martin Heidegger, Essere e tempo (trad. it. di P. Chiodi, Milano, Longanesi, 1997). Jean Paul Sartre, La porta chiusa (trad. it. di G. Lanza e M. Bontempelli, Milano, Bompiani, 1995). Jean Paul Sartre, La nausea (trad. it. di B. Fonzi, Milano, CDE, 1990).

L'anima

Considerate che nessuna cosa è meravigliosa se non l’anima,
niente è troppo grande per una grande anima.

Cogitate nihil praeter animum esse mirabile, cui magno nihil magnum est (Epistulae ad Lucilium 8, 5).

Osservate questa sana e salutare regola di vita:
curatevi del corpo solo quanto è necessario alla sua salute.
Occorre trattarlo abbastanza duramente perchè non obbedisca malvolentieri all’anima.

Hanc ergo sanam ac salubrem formam vitae tenete, ut corpori tantum indulgeatis quantum bonae valetudini satis est. Durius tractandum est ne animo male pareat (Epistulae ad Lucilium 8, 5).

Il corpo è un peso e una pena per l’anima; sotto la sua pressione l’anima è oppressa, è in catene, a meno che non intervenga la filosofia e la faccia respirare con la contemplazione della natura e la allontani dalle cose terrene verso quelle divine.

Corpus hoc animi pondus ac poena est; premente illo urguetur, in vinclis est, nisi accessit philosophia et illum respirare rerum naturae spectaculo iussit et a terrenis ad divina dimisit (Epistulae ad Lucilium 65, 16).

Il corpo va sottomesso alle esigenze dello spirito, perché la libertà dell’anima non sia limitata. È proprio del sapiente prestare cure prevalentemente all’anima e non al corpo (Epistulae ad Lucilium 78, 10). La vera sapienza consiste nell’appartenersi, nel cercare la tranquillità dell’animo e la libertà assoluta dentro di sé, senza farsi turbare dalle vicende esterne. La vera ricchezza è interiore e si raggiunge con l’essere ‘contento’ di sé, essere ‘autosufficiente’, non aver bisogno di niente che provenga dall’esterno (Epistulae ad Lucilium 9, 13).

IL PROBLEMA DELL'ANIMA

Ritroviamo in Seneca quella svalutazione del corpo e delle cure ad esso rivolte e, piú in generale, quella dicotomia tra la componente sensoriale e quella razionale dell'uomo e della realtà, che affonda le sue radici nell'idealismo platonico e che solo temporaneamente era stata risolta da Aristotele. Si tratta di una concezione che, per vie e in modi diversi, si ripresenta piú volte nella storia del pensiero, a partire dalla forma estrema del Manicheismo, religione di origine mesopotamica a cui aderí per nove anni come catecumeno s. Agostino. Basterà qui ricordare ancora il pensiero di Tertulliano sull'anima, il pauperismo e le correnti eretiche del XII e del XIII secolo, ma anche il Petrarca del Secretum, scisso tra l'aspirazione ad una vita religiosa e santa e l'amore per Laura. La dialettica tra spirito e materia o meglio tra idea e forma riceve poi originale e chiara definizione nella filosofia postkantiana ed in particolare nell'idealismo di Hegel, per giungere alle correnti filosofiche, letterarie e artistiche che ne derivano. Molti anni più tardi, infine, il senso della fragilità dell'uomo, del peccato e della colpa, sono i protagonisti del romanzo Canne al vento di Grazia Deledda, mentre Giorgio De Chirico, nel suo periodo metafisico, teorizza un'opera d'arte in cui siano rappresentate "la tranquillità, la bellezza priva di senso della materia".

Il senso del tempo

Non abbiamo poco tempo, ma ne abbiamo sprecato molto. Una vita abbastanza lunga ci è stata concessa per compiere grandi azioni, se la impiegassimo tutta adeguatamente.

Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus. Satis longa vita et in maximarum rerum consummationem large data est, si tota bene collocaretur (De brevitate vitae 1, 3).

Moriamo ogni giorno, ogni giorno infatti ci viene sottratta una parte della vita e anche quando cresciamo la vita decresce ... questo stesso giorno che stiamo vivendo lo dividiamo con la morte.

Cotidie morimur; cotidie enim demitur aliqua pars vitae, et tunc quoque cum crescimus vita decrescit ... hunc ipsum quem agimus diem cum morte dividimus (Epistulae ad Lucilium 24, 20).

La vita ci appare breve e sta a noi saperla vivere proficuamente fino in fondo; la colpa è nostra se non impieghiamo bene quanto ci è stato concesso, se dissipiamo come cattivi padroni una ricchezza che un abile amministratore farebbe fruttare. La riflessione sul tempo è sempre una meditazione sulla fugacità della vita e sulla morte: come non è l’ultimo granello che esaurisce la clessidra, ma tutta la sabbia che è defluita, così non è l’ultima ora che mette fine alla nostra vita ma solamente la compie.

Che cos’è la morte? O la fine o il passaggio e io non temo di finire (è lo stesso che non aver cominciato) e nemmeno di passare; in nessun luogo avrò confini così ristretti.

Mors quid est? Aut finis aut transitus. Nec desinere timeo (idem est enim quod non coepisse), nec transire, quia nusquam tam anguste ero (Epistulae ad Lucilium 65, 24).

La sopravvivenza dell’anima dopo la morte non è certa, ma la morte non va temuta perché compimento necessario ed inevitabile: è liberazione ed estremo atto di libertà, dal momento che "chi ha imparato a morire ha disimparato ad essere schiavo" (Epistulae ad Lucilium 26, 10); "non è mai sventurato colui per il quale è facile il morire" (Hercules Oeteus, v. 111); "sono pronto ad andarmene… ho vissuto quanto bastava, aspetto la morte appagato" (Epistulae ad Lucilium 61, 2-4).

IL SENSO DELL'HUMANITAS E IL CONCETTO DELL'UGUAGLIANZA TRA GLI UOMINI

Dal momento che la vera libertà è quella dell’anima e non quella del corpo, destinato alla morte, tutti gli uomini sono liberi al di là delle loro condizioni sociali. Anche uno schiavo può essere libero interiormente perché a pieno diritto partecipa della condizione umana. Di qui una maggiore considerazione degli schiavi e l’esortazione a trattarli con familiarità: "Non giudicherò gli uomini in base al loro mestiere, ma in base alla loro condotta; della propria condotta ciascuno è responsabile, il mestiere invece lo assegna il caso" (Epistulae ad Lucilium 47, 15); "Questo che chiami tuo schiavo è nato dallo stesso seme, sta sotto lo stesso cielo, respira la stessa aria, vive e muore allo stesso modo; tu puoi vedere in lui un uomo libero come quello può vedere in te uno schiavo" (Epistulae ad Lucilium 47, 10); "Comportati con il tuo inferiore come vorresti che il tuo superiore agisse con te" (Epistulae ad Lucilium 47, 11).

Traccia per un percorso interdisciplinare:

- Euripide, Ione, vv. 854-56 (una cosa è motivo di vergogna per gli schiavi: il nome; in tutto il resto nessuno schiavo è inferiore a chi è libero, se è onesto); Elena, vv. 730-31 (uguaglianza liberi/schiavi);

- Platone, Repubblica 577d (è la ragione che rende l'uomo libero);

- la commedia nuova: Filemone e Menandro; Terenzio, Heautontimoroumenos;

- lo stoicismo: Seneca, De ira III 42, 1-4 e 43, 1-5; Epistulae ad Lucilium 44 e 47; De beneficiis III 28, 1-4;

- Francesco Petrarca, Ai Signori d'Italia, vv. 97 sgg.;

- l'Illuminismo, Rousseau, Montesquieu e la rivoluzione francese;

- i socialisti utopici e la seconda rivoluzione industriale;

- Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, cap. 34 ("La madre di Cecilia");

- Giacomo Leopardi, La ginestra e Il canto notturno di un pastore errante dell'Asia;

- Guido Gozzano, La signorina Felicita, str. IV (vanità delle ambizioni di fronte alla morte).

LO SCIENZIATO

Molte cose a noi ignote saranno conosciute dalla generazione successiva, molte cose sono riservate alle generazioni future, quando il nostro ricordo sarà svanito.

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet, multa saeculis tunc futuris, cum memoria nostri exoleverit, reservantur (Naturales quaestiones VII 30, 5).

Molto resta ancora da fare e molto resterà e a nessuno, neppure fra mille anni, sarà negata la possibilità di aggiungere ancora qualcosa. Ma se anche dagli antichi tutto è stato scoperto, sarà sempre nuovo l’uso, la conoscenza e l’organizzazione delle cose scoperte da altri.

Multum adhuc restat operis multumque restabit, nec ulli nato post mille saecula praecludetur occasio aliquid adhuc adiciendi. Sed etiam si omnia a veteribus inventa sunt, hoc semper novum erit, usus et inventorum ab aliis scientia ac dispositio (Epistulae ad Lucilium 64, 7-8).

L’indagine della natura permette all’uomo di cogliere la ratio insita nel mondo e quindi di avvicinarsi a Dio, ma la possibilità di conoscenza dell’uomo è limitata: "e infatti Dio non ha svelato tutto all’uomo" (Naturales quaestiones VII 30, 3), ma v’è un continuo progresso scientifico che anche nel futuro proseguirà inarrestabile. Questa idea del progresso della conoscenza umana che lega le generazioni passate e future è il segno della modernità di Seneca rispetto all'erudizione dei contemporanei (Plinio il Vecchio), che ritengono definitive le conquiste della scienza.

SCIENZA E FEDE

L'inspectio rerum naturae, cioè l'osservazione e l'indagine dell'universo, porta alla stupefatta ammirazione dell'ordine che è in esso e si collega strettamente con la ricerca di Dio. Come osserva Umbero Boella, la concezione di Seneca può essere confrontata con una bella pagina di Albert Einstein: "L'individuo è cosciente della vanità delle aspirazioni e dei desideri umani e, peraltro, riconosce l'impronta sublime e l'ordine mirabile che si rivelano nella natura e nel mondo del pensiero. L'esistenza individuale gli dà l'impressione di una prigione e vuol vivere nella piena conoscenza dell'universo, della sua unità e del suo senso profondo. Il sentimento religioso assume la forma dello stupore estatico di fronte all'armonia delle leggi della natura rivelandogli un'intelligenza talmente superiore che, confrontato ad essa, tutto il pensiero e l'agire degli uomini appare come un riflesso del tutto insignificante" (A. Einstein, Come io vedo il mondo, trad. it. di R. Valori, Milano, Giachini, 1955, pp. 44-45).

Di Seneca suggeriamo di leggere la prefazione al libro I delle Naturales Quaestiones e le Epistulae ad Lucilium 65 e 90.

IL TRAGEDIOGRAFO

Lo confesso: un tumulto sconvolgente scuote il mio animo e lo rivolge nel profondo; sono trascinato e non so dove, ma sono trascinato.

Fateor: tumultus pectora attonitus quatit penitusque volvit: rapior et quo nescio, sed rapior
(Thyestes, vv. 260-62).

Un tiranno moderato uccida: nel mio regno la morte si ottiene supplicando.

Perimat tyrannus lenis: in regno meo mors impetratur (Thyestes, vv. 247-48).

Nel teatro di Seneca dominano la tensione, che talvolta sconfina nell’enfasi, i toni macabri e le descrizioni orripilanti; il pathos esasperato e il linguaggio convulso mirano alla forza drammatica. In tutto ciò si coglie la visione di una titanica opera di sconvolgimento dell’ordine naturale: Ercole furioso uccide la moglie e i figli; Medea uccide i propri figli per vendicarsi del tradimento di Giàsone; Fedra si innamora follemente del figliastro Ippolito; Èdipo è l’assassino del padre e lo sposo della madre; Tieste si ciba delle carni dei figli che il fratello Àtreo gli ha bandito; Deianira uccide inconsapevolmente Ercole credendo di legarlo a sé con un filtro d’amore; Agamennone è ucciso dalla moglie Clitemnestra. Predomina il nefas, la scelleratezza somma, in una sorta di ‘rovesciamento’ dei valori positivi proclamati da Seneca filosofo. Il furor ha sempre il sopravvento sulla ratio e guida il comportamento irragionevole e folle dei protagonisti. Il tiranno spietato è una delle figure centrali delle tragedie, tanto che si è visto in esse un’allusione alla situazione politica in cui Seneca viveva, quasi una raffigurazione drammatica della degenerazione del principato. Ma su tutti, potenti e miseri, infierisce la fortuna: nessuno è esente dai capovolgimenti della sorte; certo la sorte è più spietata nei confronti dei più potenti, ma spesso la morte rappresenta una liberazione: "Solo la morte sottrae l’innocente alla fortuna" (Oedipus, v. 934).

LE DONNE NEL TEATRO DI SENECA

Nel teatro senecano il conflitto tragico ed i suoi inevitabili esiti luttuosi nascono dagli odi reciproci e dai dissidi che lacerano l'interiorità psicologica degli individui, e sono spesso le donne a meglio rappresentare questo intimo contrasto: Fedra è divorata dalla passione ma lacerata dal senso di colpa e dalla volontà di espiazione; Medea vive l'atroce dissidio tra l'amore per i figli e il desiderio di vendetta; in entrambe queste figure il pathos tragico, che già aveva ispirato i modelli euripidei, degenera in una visione orripilante, quasi in una esaltazione del furor delle protagoniste, peraltro coerente con la loro indole. L'esaltazione della fedeltà alla propria natura e della volontà indomita può essere confrontata con quella di altre eroine di tragedie precedenti e successive:

- l'Ippolito e la Medea di Euripide,

- il Macbeth di Shakespeare,

- la Fedra di Racine,

- la Mirra di Alfieri,

- la Medea di Pier Paolo Pasolini;

Proposte di lettura: G. G. Biondi, Il nefas argonautico. Mythos e logos nella Medea di Seneca, Bologna, Pàtron, 1984; G. Mazzoli, Medea in Seneca: il logos del furor, in Atti delle giornate di studio su Medea, Torino, 23-24 ottobre 1995, a cura di R. Uglione, Torino, CELID, 1997.

IL LINGUAGGIO DELL'INTERIORITÀ

Questo sia il principale nostro proposito: dire quello che sentiamo, sentire quello che diciamo; si accordi il linguaggio con la vita.

Haec sit propositi nostri summa: quod sentimus loquamur, quod loquimur sentiamus; concordet sermo cum vita (Epistulae ad Lucilium 75, 4).

Secondo Svetonio, l'imperatore Caligola "aveva tanto in dispregio lo stile troppo lezioso e ricercato, che chiamava lo stile di Seneca, allora tanto di moda, ‘vaniloqui da parata, simili a sabbia senza calce’" (Caligola 53). Quintiliano, pur riconoscendo a Seneca qualità positive, lo critica per la scarsa accuratezza negli scritti; biasima la dissoluzione del periodo in minutissimae sententiae, e afferma che deve essere letto da chi è pienamente formato e non si lascia confondere dalla sua scrittura (Institutio oratoria X 1, 125-29). Gellio lo definisce homo nugator ("un chiacchierone") e gli rimprovera la sua eloquenza volgare ed abusata, dall’impeto vuoto o dall’arguzia avvocatesca (Noctes Atticae XII 2). Secondo Frontone "il maggior vizio e il più turpe in questo genere di eloquenza è che la stessa frase si ripete mille volte, ora vestita in un modo ora in un altro" (De orationibus 5).

Diverso è il giudizio dei moderni che vedono in Seneca il creatore del linguaggio latino dell’interiorità: "è lo stile drammatico dell’animo umano che è in guerra con se stesso" (C. Marchesi). Il linguaggio è variato ed asimmetrico, si ripiega come su se stesso; il suo nucleo principale è la frase, la sententia, e non più l’intero periodo come in Cicerone: "la trama logica del discorso si smaglia in un fitto balenio di sententiae, ognuna fine a se stessa" (A. Traina). La sua prosa è concisa e concettosa, e dietro un’apparente discorsività si cela un’accurata elaborazione stilistica. È evidente l’influenza della retorica e della declamazione che serve ad esprimere pienamente la complessità del pensiero. Del suo stile si potrebbe dire quanto egli attribuisce allo stile di Lucilio: "esprimi ciò che desideri e significhi più di quanto dici" (Epistulae ad Lucilium 59, 5).

All'interno della vasta bibliografia moderna sulla lingua e lo stile di Seneca si possono leggere, in italiano: G. Mazzoli, Seneca e la poesia, Milano, Ceschina, 1970; A. Traina, Lo stile ‘drammatico’ del filosofo Seneca, Bologna, Pàtron 19874; A. Setaioli, Stile come espressione dell'individualità dell'autore e dello spirito dell'epoca, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II 32/2, Berlin, De Gruyter, 1985, pp. 818-821.

DAGLI ANTICHI A NOI

Nonostante la reazione classicistica di Quintiliano prima e la moda arcaizzante di Frontone poi, la fama di Seneca non tramontò, bensì acquistò sempre nuovo vigore soprattutto con la fine dell'impero. La letteratura cristiana antica, infatti, rielaborò in un'ottica di fede la concezione stoica del logos (Minucio Felice e Tertulliano), mentre la lettura del pensiero senecano in chiave religiosa (Agostino parla di anima naturaliter christiana) ispirò la falsificazione con cui si volle creare, nel IV secolo, un carteggio tra Seneca e s. Paolo, fonte della grande fortuna di Seneca in tutto il Medioevo: molto letto ed utilizzato soprattutto per le massime, spesso raccolte in apposite antologie, "Seneca morale" fu posto da Dante nel Limbo (Inferno IV 141) e il Tieste ha forse ispirato la vicenda del conte Ugolino; ma ancora Petrarca dubitava che Seneca tragico e Seneca filosofo fossero due persone diverse. Con la fine del Medioevo si diffonde la conoscenza del teatro tragico di Seneca (l'Ecerinis di Albertino Mussato), che tocca poi il suo apice nel tardo Rinascimento sia in Italia (la Canace di Sperone Speroni, l'Orbecche di Gian Battista Giraldi Cinzio, il Torrismondo di Torquato Tasso), sia, soprattutto, in Inghilterra con il teatro elisabettiano (Marlowe, Iew of Malta; Shakespeare; Ben Johson e John Webster), e in Francia con Corneille (Médée) e Racine (Fedra), per arrivare poi a Crébillon (Thyestes) e a Voltaire (Oreste); Alfieri riprese la figura senecana di Clitemnestra nell’Agamennone e nell’Oreste e l’artificio delle apparizioni ferali nel Polinice e nell’Agamennone; il giovane Foscolo si ispirò a Seneca nel Tieste.

Anche il ‘Seneca morale’ continuò ad esercitare la sua influenza sulla letteratura e sul pensiero moderno: Calvino scrisse un commento al De clementia, e a Seneca si ispirano alcuni pensieri di Pascal. A fronte della critica hegeliana alla limitatezza della filosofia senecana, Schopenhauer ne apprezza invece la continua ricerca della saggezza e la lotta contro le passioni e gli istinti.

INIZIATIVE PROMOSSE E PATROCINATE DAL COMITATO PER LE CELEBRAZIONI DEL BIMILLENARIO

CONVEGNI

Seneca nel bimillenario della nascita (Chiavari, 19-20 aprile 1997), organizzato dall'Associazione Italiana di Cultura Classica, Delegazione di Chiavari "Lucilla Donà Barbieri";

Seneca e il suo tempo (Roma-Cassino, 11-14 novembre 1998), organizzato dalle Università di Roma "La Sapienza", di Roma Tre e di Cassino;

Seneca uomo politico e l'età di Claudio e Nerone (Capri, 25-27 marzo 1999), organizzato dall'Università di Napoli "Federico II" e dalla Seconda Università di Napoli;

Seneca nella coscienza dell'Europa (Bologna-Ravenna, 8-10 aprile 1999), organizzato dall'Università di Bologna con la partecipazione del Comitato per "Bologna città europea della cultura";

Seneca e i Cristiani (Milano, 11-13 ottobre 1999); organizzato dall'Università Cattolica del S. Cuore con la partecipazione della Biblioteca Ambrosiana;

Incontri con Seneca (Torino, 26 ottobre 1999), organizzato dall'Università di Torino con la partecipazione dell'Accademia delle Scienze di Torino;

Il teatro di Seneca (Palermo, 9-13 novembre 1999), organizzato dall'Università di Palermo con la partecipazione della Regione Sicilia e del Comune di Marsala;

Gli Annei: una famiglia nella storia e nella cultura di Roma imperiale (Milano-Pavia, 2-6 maggio 2000), organizzato dalle Università di Milano e di Pavia.

MOSTRE

Mostra bibliografica e iconografica (Roma, Teatro dei Dioscuri, 19 gennaio-24 febbraio 1999), organizzato dal Comitato per il Bimillenario in collaborazione con la Biblioteca Centrale di Roma;

Mostra di manoscritti senecani (Firenze, primavera del 2001), organizzato dal Comitato per il Bimillenario in collaborazione con la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze.

PUBBLICAZIONI

Seneca nel bimillenario della nascita, a cura di S. Audano, Pisa, Edizioni ETS, 1998 (atti del convegno di Chiavari);

Seneca nella coscienza dell'Europa, a cura di I. Dionigi, Milano, B. Mondadori, 1999 (atti del convegno di Bologna-Ravenna);

Seneca e il suo tempo, a cura di P. Parroni, Roma, Salerno Editrice, 2000 (atti del convegno di Roma-Cassino);

Seneca. Mostra bibliografica e iconogafica, a cura di F. Niutta e C. Santucci, Roma, Palombi, 1999.

È in preparazione la Bibliografia senecana del XX secolo, a cura di Italo Lana.

Il Comitato ha inoltre finanziato la stampa del volume Seneca e i giovani, a cura di I. Lana, Venezia, Osanna, 1997; della raccolta dei Frammenti di Seneca, a cura di D. Vottero, Bologna, Pàtron, 1998, e dell'annata 2000 del "Giornale italiano di filologia", interamente dedicato a Seneca.

PREMI DI LAUREA

Due premi del valore di £ 5.000.000 ciascuno sono stati assegnati dal Comitato alle migliori tesi di laurea di argomento senecano discusse nelle Università italiane negli ultimi due anni. Sono risultate vincitrici; Carmela Maxia (Le strategie dell'implicito. La negazione nelle Epistulae ad Lucilium di L.A. Seneca; relatore prof. G. Picone, Università di Palermo) e Luisa Mennella (Aspetti del lessico storico nelle Epistulae ad Lucilium di Seneca; relatore prof. L. Gamberale, Università di Roma "La Sapienza").

LUCIO ANNEO SENECA

Lucio Anneo Seneca nacque a Corduba, capitale della provincia romana dell'Hispania Baetica, negli ultimi anni del I sec. a.C. (tradizionalmente il 4 a.C.); la gens Annaea era di rango equestre e il padre, Seneca il Retore, viene ricordato nella storia letteraria come autore di controversiae e suasoriae. Compí studi di retorica e filosofia a Roma: i suoi maestri lo orientarono ad un ideale ascetico, di progressiva conquista di una piena libertà spirituale; tra di essi gli fu particolarmente caro lo stoico Attalo, frequentemente ricordato nell'epistolario.

Fin da giovane non dovette godere di buona salute, tanto che, terminati gli studi, si recò in Egitto per curare in un clima piú adatto un grave male da cui era affetto; sulla natura di questa malattia c'è ancora incertezza tra gli studiosi. Nel 31 d.C., all'indomani della caduta di Seiano, crudele prefetto del pretorio di Tiberio, tornò a Roma, deciso a dedicarsi alla carriera forense e ad intraprendere la strada della politica: nel 38, quando era imperatore Caligola, ottenne la questura, primo gradino del cursus honorum; in seguito ebbe accesso alla corte imperiale ed ottenne grandi successi grazie alle sue brillanti capacità oratorie, ma nel 39 - forse a causa di un discorso inopportuno pronunciato alla presenza del princeps - corse il rischio di essere condannato alla pena capitale. Nel 41, dopo la presa di potere di Claudio, fu coinvolto nei complessi intrighi di corte intessuti dall'imperatrice Messalina e relegato in Corsica, in seguito ad un'accusa di adulterio. Il forzato soggiorno in quella terra semideserta, senza la speranza di un immediato ritorno, lo avviò definitivamente alla riflessione filosofica: negli otto anni di permanenza in quell'isola selvaggia si avvicinò allo stoicismo, ma effettuò anche diversi tentativi per poter rientrare a Roma, tra i quali l'invio di un'adulatoria consolatio al potentissimo Polibio, liberto di Claudio, a cui era morto il fratello.

Soltanto dopo la condanna a morte di Messalina, implicata in una congiura contro il consorte, Seneca venne richiamato dall'esilio: la nuova imperatrice, Agrippina minore, vide in lui l'ideale precettore del figlio di primo letto Domizio, il futuro imperatore Nerone, che, adottato da Claudio, era destinato alla successione per ragioni di maggiore età rispetto a Britannico, figlio dello stesso Claudio e di Messalina. Impegnatosi a fondo nell’insegnamento, Seneca si illuse di poter educare il suo allievo ai valori dell'humanitas e della tolleranza, indicandogli la figura di Augusto come modello di equilibrio e rispetto delle tradizioni, e, nello stesso tempo, indirizzandolo alle arti, care al mondo ellenico, del canto, della musica, della ginnastica. Quando Nerone prese il potere, nel 54, a soli diciassette anni di età, Seneca, pur mantenendosi in una posizione defilata, continuò ad influenzare positivamente il giovane princeps, ispirando alcuni atti significativi della sua politica, come i provvedimenti per migliorare la condizione degli schiavi e il progetto di riforma fiscale, e riuscendo nello stesso tempo ad equilibrare i rapporti tra l'imperatore e il Senato. Al termine di questo lungo periodo di serenità - il cosiddetto "quinquennio felice", dal 54 al 59 - la prepotente affermazione della personalità dell' imperatore, deciso tra l'altro a ripudiare la moglie Ottavia per legarsi a Poppea Sabina, accentuò gravi contrasti con la madre, che, in concorrenza con lo stesso Seneca e con il prefetto del pretorio Afranio Burro, tentava di esercitare una decisa influenza sul giovane. Alle forti pressioni di Agrippina, che minacciava di promuovere la salita al trono del fratellastro Britannico, Nerone non esitò a rispondere con una reazione violentissima: dapprima fece uccidere il rivale, poi, a breve distanza di tempo, ordinò la morte della stessa madre; è difficile valutare quale sia stato l'atteggiamento di Seneca in questa vicenda: sembra comunque che non rimase estraneo all'organizzazione del matricidio o quantomeno - secondo lo storico Tacito - non fece nulla per impedirlo.

Nel 62, dopo la morte di Burro, forse avvelenato, e di Ottavia, esiliata e poi uccisa per ordine dell'imperatore, Seneca decise di ritirarsi dalla vita politica; Nerone, sempre piú isolato, lo avrebbe voluto ancora al suo fianco, ma il suo antico precettore fu irremovibile, manifestando un forte desiderio di tornare alla meditazione filosofica e adducendo anche motivi di salute. In questo periodo egli si dedicò ad opere di grande impegno, spingendosi con ottimi risultati anche nel campo della poesia tragica.

Nel 65 venne scoperta la congiura antineroniana "dei Pisoni" (dal nome del suo principale promotore, il nobile Gaio Calpurnio Pisone); ad essa aderí Lucano, nipote del filosofo. Anche Seneca fu accusato di averla sostenuta; corse persino voce che alcuni dei congiurati avessero deciso di elevare al trono imperiale non Pisone, ma lo stesso Seneca. Inviatogli da Nerone l'ordine di uccidersi, lo accolse serenamente e morí alla maniera di Socrate, mentre conversava di filosofia con gli amici (aprile 65).

Le opere di Seneca possono essere lette in italiano nella collana "Prosatori di Roma" di Zanichelli (Lettere a Lucilio, 3 voll., a c. di B. Giuliano; I benefici, a c. di S. Guglielmino; Operette morali, 3 voll., a c. di B. Del Re), nella collana "I classici del pensiero" di Rusconi (Tutti gli scritti in prosa: dialoghi, trattati e lettere, a c. di G. Reale, A. Marastoni e M. Natali) e nella Biblioteca Universale Rizzoli (Lettere a Lucilio, 2 voll., introd. di L. Canali, trad. e note di R. Monti; Apocolocyntosis, introd., trad. e note di G. Mugellesi; Epigrammi, introd. e trad. di L. Canali, note di L. Galasso; oltre al volume con Tutte le tragedie curato da M. Scandola, e ai due volumi dei Dialoghi tradotti da A. Mattioli, molte delle opere teatrali e filosofiche sono state ripubblicate separatamente a cura di diversi studiosi: D. Agonigi, G. G. Biondi, I. Dionigi, C. Lazzarini, G. Lotito, G. Monti, G. Paduano, G. Petrone, E. Rossi, C. Riocci, A. Schiesaro, F. Stok, A. Traina, ecc.); la casa editrice UTET ha pubblicato i volumi delle Epistulae ad Lucilium a c. di U. Boella, delle Naturales Quaestiones a c. di D. Vottero, dei Dialoghi a c. di P. Ramondetti, e delle tragedie a c. di G. C. Giardina e R. Cuccioli Melloni; della casa editrice Garzanti segnaliamo l'edizione delle Lettere a Lucilio (introd., trad. e note di C. Barone, con un saggio di L. Canfora) e di alcune tragedie (Medea, Fedra, Tieste, introd. e note di C. Barone, trad. di V. Faggi). Altre importanti traduzioni: Apocolocyntosis, a c. di C. F. Russo, Firenze, La Nuova Italia, e a c. di R. Roncali, Venezia, Marsilio; De providentia, a c. di E. Andreoni, Roma, Ateneo; De providentia, De constantia sapientis, De ira, a c. di G. Viansino, Milano, Mondadori; De otio, a c. di I. Dionigi, Brescia, Paideia; De brevitate vitae, a c. di A. Traina, Torino, Loescher. Tutti i frammenti di Seneca sono ora disponibili nell'edizione curata da D. Vottero, Bologna, Pàtron, 1998.

Tra gli studi complessivi su Seneca in lingua italiana ricordiamo: C. Marchesi, Seneca, Milano-Messina, Principato, 19443; I. Lana, Lucio Anneo Seneca, Torino, Loescher, 1955; V. Sørensen, Seneca, trad. it. di B. Berni, Roma, Salerno Editrice, 1988.

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